Autore: digiroot

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Perché sono importanti i legumi nella nostra dieta?

 

Definiti per lungo tempo come la “carne dei poveri”, il consumo di legumi nel nostro paese è estremamente basso. Forse proprio per questo retaggio che li vedeva utilizzati dalle popolazioni più povere e meno abbienti nel dopo guerra.
Negli ultimi anni il consumo di questi alimenti ha registrato un lieve incremento e questo potrebbe essere dovuto alla diffusione sempre più ampia che hanno avuto le diete come quella vegetariana e vegana.
Ma perché i legumi sono così importanti per la nostra alimentazione?
Partiamo innanzitutto dalla loro definizione: con il termine legumi facciamo riferimento ai semi commestibili delle piante appartenenti alla famiglia delle leguminose, che possono essere consumati allo stato fresco, secco, surgelati e conservati.
Le leguminose che sono maggiormente consumate in Italia sono: i fagioli, i piselli, le fave, le lenticchie e i ceci mentre è scarso il consumo di lupini e raro quello di cicerchie.
I legumi secchi sono un’ottima fonte di proteine infatti, ne contengo di più rispetto ai cereali e alla stessa carne, tuttavia di qualità inferiore.
Un abbinamento ideale, per realizzare la cosiddetta mutua integrazione, è l’associazione dei cereali con i legumi.
Nei cereali e nei legumi è presente un aminoacido limitante: rappresenta quell’aminoacido essenziale presente nella concentrazione più bassa rispetto al fabbisogno, tale per cui la carenza impedisce un ottimale utilizzo degli altri aminoacidi per la sintesi proteica.
In generale la qualità proteica degli alimenti di origine animale è superiore rispetto alla qualità delle proteine vegetali. Questo perché le proteine animali contengono tutti i vari aminoacidi essenziali mentre le proteine vegetali sono carenti di uno o più aminoacidi essenziali: tale aminoacido, viene chiamato appunto aminoacido limitante.
Al fine di ricomporre le associazioni amminoacidiche complete, l’abbinamento di cereali e legumi rappresenta un valido sostituto delle proteine animali. I cereali sono per esempio carenti di triptofano, importante per la sintesi di serotonina, e di lisina mentre i legumi sono invece carenti di aminoacidi solforati come la metionina e cisteina importanti per la crescita di peli, capelli e unghie e per la sintesi di glutatione, un potente antiossidante in grado di proteggere le nostre cellule dai radicali liberi.
Tuttavia, abbinando correttamente tra loro differenti proteine vegetali si può compensare la carenza dei vari aminoacidi limitanti.
Per questo un piatto di pasta e fagioli è un’ ottima soluzione per soddisfare il fabbisogno proteico del nostro organismo.
I legumi sono un’ottima fonte di fibra alimentare.
La fibra alimentare viene distinta in solubile ed insolubile. La fibra solubile, di cui sono più ricchi i legumi, forma soluzioni viscose che allungano i tempi di svuotamento gastrico, permettendo di aumentare il senso di sazietà. Inoltre riduce l’assorbimento di colesterolo e di glucosio aiutando quindi a tenere sotto controllo l’assetto lipidico e glucidico. Oltre a queste funzioni la fibra solubile riduce il pH intestinale e questo permette di inibire l’attività di microrganismi potenzialmente dannosi, favorendo la presenza di microrganismi benefici e diminuendo la concentrazione nell’intestino di molecole azotate citotossiche.
La fibra insolubile invece, essendo idrofila, assorbe rilevanti quantità d’acqua: aumenta così il volume delle feci, che si faranno abbondanti, poltacee e più morbide e si riducono i tempi di transito intestinale. La fibra insolubile ha quindi un effetto lassativo ed è utile, insieme con una buona idratazione, per contrastare la stipsi.
Inoltre velocizzando lo svuotamento intestinale, riduce la concentrazione di sostanze potenzialmente citotossiche e citolesive e i tempi di contatto con la mucosa intestinale.
I legumi sono importanti per la salute dell’uomo in quanto, per il loro contenuto di lecitina, permettono di ridurre i livelli di colesterolo nel sangue e perché si tratta di alimenti con un ottimo contenuto di glucidi e questo conferisce loro un buon potere energetico. È importante ricordare che i carboidrati rappresentano la nostra benzina verde per cui non vanno, come spesso si pensa, eliminati dalla dieta.
Il contenuto in vitamina B1, Ferro e Potassio nei legumi è sicuramente apprezzabile; tuttavia una certa quantità di minerali non viene assorbita per l’abbondante presenza di fitati, sostanze “antinutrizionali” che ne riducono appunto l’assorbimento.
Inoltre i legumi sono tra gli alimenti vegetali più ricchi di calcio.
In commercio possiamo trovare i legumi secchi, freschi, surgelati e conservati.
Sarebbe ottimale acquistare i legumi secchi, tuttavia i tempi di ammollo e di cottura sono molto lunghi; in questo caso la pentola a pressione ci fornisce un valido aiuto.
Quando si acquistano i legumi conservati e bene leggere l’etichetta per accertarsi che contengano solo acqua e sale e prima di consumarli è opportuno sciacquarli sotto acqua corrente per liberarli del sale in eccesso.
Molto spesso chi consuma i legumi si lamenta di problemi con il gonfiore e la flatulenza. Questo è dovuto alla presenza di zuccheri fermentescibili che vengono appunto fermentati dalla flora batterica intestinale con conseguente produzione di gas.
Per alleviare questo problema è possibile consumare i legumi passati con il passaverdure oppure con l’utilizzo di un frullatore che non sia però ad immersione perché altrimenti si ingloberebbe molta aria e il problema verrebbe acuito.
Alla luce degli innumerevoli benefici apportanti dai legumi si consiglia dunque un consumo di almeno due, tre volte alla settimana di questi alimenti.

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L’importanza dell’alimentazione in età pediatrica

 

Un’alimentazione qualitativamente corretta e quantitativamente adeguata è importante affinché i bambini possano crescere in salute.
Quante volte ci siamo sentiti dire da piccoli “se vuoi crescere forte devi mangiare!” oppure “magia se vuoi diventare grande”.
Tuttavia questo “mangia” è stato mal interpretato negli anni e forse è per questo che i bambini italiani sono tra i più obesi d’Europa.
Gli ultimi dati pubblicati dal ministero italiano della salute, riguardanti il sistema di sorveglianza “Okkio alla salute”, mostrano come su un campione di oltre 48.000 bambini delle scuole elementari il 9,3% risulti essere obeso mentre il 21,3% è invece in sovrappeso. In sostanza ciò equivale a dire che un bambino su 5 è in sovrappeso e un bambino su 10 è obeso.
Leggendo questi dati comprendiamo come il sovrappeso e l’obesità siano un rilevante problema di salute pubblica, nel nostro paese così come nel mondo intero.
Un bambino obeso sarà, con molta probabilità, un adulto obeso e purtroppo sui figli di genitori obesi pesa il fardello di un probabile futuro con problemi ponderali.
È evidente che si tratta di un circolo vizioso che sarebbe opportuno fermare nel più breve tempo possibile.  Questo però risulta difficile perché le persone ignorano le conseguenze che l’eccesso di peso ha sulla salute; essere obesi significa avere, in confronto agli individui normopeso, un aumentato rischio di morte prematura per tutte le cause e il rischio aumenta con l’aumentare dell’eccesso ponderale. Per i soggetti obesi aumenta il rischio di patologie cardiovascolari come l’infarto e possono più facilmente ammalarsi di diabete di tipo II.
Sovrappeso e obesità si associano ad un aumentato rischio di neoplasie come tumore al colon, al seno e alla prostata. L’eccesso di peso aggrava il lavoro a cui sono sottoposte le articolazioni, con il rischio di sviluppare artrosi. L’accumulo di grasso a livello addominale causa problemi respiratori con possibile insorgenza di apnee notturne. Per non parlare poi dei problemi di limitazione nel movimento e di discriminazione di cui spesso sono vittime i bambini nelle scuole.
Compreso questo capiamo perché sia più corretto dire  “mangia sano e crescerai bene”.
Apprendere fin da piccoli le corrette abitudini alimentari, e più in generale di un sano stile di vita, consente di ridurre il rischio di problemi ponderali  oltre alla probabilità di sviluppare malattie cronico degenerative, come il diabete e l’ipertensione.
Risulta agevole intuire come questa responsabilità debba essere a carico dei genitori; genitori che a loro volta hanno bisogno di essere educati ad una sana alimentazione. Costoro, molto spesso, hanno una percezione sbagliata del peso dei loro figli, tanto che il 40% delle madri di bambini obesi o in sovrappeso ritengono che il peso del proprio figlio rientri nella norma.
La  responsabilità dei genitori, e forse più correttamente quella della mamma, inizia dalla gravidanza; un corretto percorso di educazione alimentare dovrebbe infatti prendere avvio fin da qui.
Durante il decorso della gravidanza è fondamentale seguire una dieta varia ed equilibrata così da garantire l’adeguato apporto di energia e nutrienti, necessari al corretto sviluppo fetale: possiamo infatti definirlo un nutrisi per nutrire.
Le donne in gravidanza sentono una forte responsabilità verso la creatura che hanno in grembo e forse proprio per questo che mostrano maggiore attenzione all’alimentazione.
Ho avuto la possibilità di constatare quanto detto durante lo svolgimento della mia tesi di laurea, che mi ha portato ad analizzare le abitudini alimentari di un gruppo di donne in gravidanza. Dai risultati che ho raccolto ho potuto desumere come la tendenza alimentare di quest’ ultime fosse più che positiva: ad esempio la maggior parte delle gestanti non rifiuta la prima colazione, consuma vegetali e frutta fresca almeno due volte al giorno e si astiene dall’assumere bevande alcoliche.
L’alimentazione riveste un ruolo altrettanto importante durante l’allattamento. Appare scontato, ma forse nemmeno troppo viste le numerose donne che vi rinunciano, ricordare come il latte materno sia per il neonato il miglior nutrimento previsto dalla natura per i primi mesi di vita. Infatti l’allattamento al seno apporta al neonato dei vantaggi nutrizionali ed extra nutrizionali di notevole rilevanza: riduzione del rischio di obesità, difesa dalle infezioni, maturazioni del sistema immunitario, protezione a lunga scadenza e miglior sviluppo neuro-psichico sono solo alcuni degli innumerevoli benefici.
Consuetudine affermata è quella di sconsigliare alla donna in fase di allattamento di evitare di consumare certi alimenti dai sapori non particolarmente gradevoli come spezie e erbe aromatiche, aglio e cipolla, ortaggi quali broccoli e cavoli. Il sapore di questi alimenti infatti, può rendere non appetibile il latte per il neonato.
Personalmente ritengo opportuno non escludere alcun alimento dalla dieta, la quale ci si auspica sia il più varia possibile. Questo perché il neonato, fin dai primi mesi di vita, possa conoscere e abituarsi ai più diversi sapori. Qualora quest’ultimo rifiutasse il latte per il sapore sgradevole, allora si consiglia di sospendere momentaneamente l’assunzione dell’alimento sospettato di esserne la causa. Il periodo più complesso  sia a mio parere, sia stando a quello che le madri che ho intervistato riportavano inizia dallo svezzamento.
Fino a quattro mesi il bambino non ha altro a cui pensare se non al seno della mamma.
Inizierà solo al quarto mese di vita a capire che  il mondo è costituito da strutture e da situazioni differenti e scoprirà quindi che c’è qualcosa che lo interessa anche di più di quello che mangia.
Il bambino comincia infatti ad essere in grado non solo di guardare il mondo ma anche di pensare e di agire. Si sviluppa la capacità prensile e tutti gli oggetti che è in grado di raggiungere li mette inserisce in bocca. Proprio questo è il periodo in cui la conoscenza del mondo passa attraverso la bocca. I sensi funzionano tutti adeguatamente ma diventa prioritario scoprire il gusto e la consistenza.
Intorno al quarto e quinto mese si acquisisce la funzione masticatoria e degluttoria. Contemporaneamente viene perso il riflesso di estrusione della lingua che permetteva la suzione.
Ecco! Questo è il momento in cui iniziare lo svezzamento che avviene in questa età per un problema soprattutto di ordine nutrizionale: il latte della mamma dal sesto mese comincia ad essere carente di ferro e, anche se prima non fosse particolarmente ricco,  il bambino aveva a disposizione dalla nascita delle buone riserve di ferro. Riserve che esaurendosi richiedono un intake di ferro quotidiano per mantenere le attività eritropoietiche.
Oltre al ferro il latte materno risulta essere povero anche di  proteine.  Con l’aumento del peso del bambino  si assiste ad un proporzionale aumento del fabbisogno proteico al punto che, per quel litro di latte materno che ingerisce al giorno avrebbe bisogno del doppio delle proteine che assume.
Altro minerale di cui il latte materno è carente è lo zinco: esistono deficit di questo nutriente che possiamo osservare quando una donna va avanti ad alimentare il bambino con il solo latte materno oltre l’ottavo, nono mese di età. Questo deficit si manifesta con un ritardo nella crescita, con un’alterazione delle risposte immunitarie e con la comparsa di dermatiti.
Per questo lo svezzamento va iniziato dal sesto mese di età, quando  compaiono i primi denti, proponendo fin da subito alimenti inizialmente semisolidi per poi giungere a quelli solidi.
Questo è un momento fondamentale per abituare il bambino a odori, sapori, consistenze diverse ma anche ad antigeni diversi: si tratta infatti di un periodo importante per “istruire”  il sistema immunitario il quale deciderà se tollerare o meno le nuove sostanze con cui interagirà.
Durante lo svezzamento è opportuno che il bambino impari a riconoscere il sapore e l’odore di un alimento per volta. Certamente non apprezzerà tutto e subito, anzi ci saranno sicuramente alimenti che rifiuterà. Generalmente si consiglia si esperire sei o sette tentativi di conoscenza di un sapore o di un odore che, se tollerati,  verranno accettati come qualcosa con cui si è cresciuti.
Il bambino infatti rifiuta ciò che non conosce, quasi come fosse un riflesso ancestrale, per difendersi da qualcosa che potrebbe avvelenarlo. Ma se un alimento viene assaggiato per diverse volte imparerà a conoscerlo al punto che quel sapore verrà considerato famigliare.
Appare  logico come sia importante insiste nel riproporre al bambino gli alimenti, occorre provare e riprovare, fino all’avvenuta accettazione.  Se ci si arresta dopo il terzo, quarto tentativo e il bambino rifiuta ancora quell’alimento allora probabilmente lo rifiuterà per sempre. Infatti generalmente gli alimenti che la madre non somministra correttamente durante lo svezzamento, magari fermandosi di fronte al secondo rifiuto, saranno quelli che il bambino rifiuterà anche da adulto. Per questo è altamente consigliato che, dai primi sei mesi in cui si inizia lo svezzamento fino ai dodici mesi di vita,  un bambino abbia la possibilità provare tutti più sapori possibile.
Come anticipato, è stato rilevata l’importanza di somministrare al bambino gli alimenti uno alla volta perché può succedere che dopo aver iniziato lo svezzamento si manifestino delle reazioni avverse come la comparsa di chiazze rosse sulla cute. Se lo svezzamento viene eseguito in maniera controllata, ovvero cambiando alimento ogni cinque, sei giorni, sarà più facile risalire ai possibili colpevoli. In caso di risposta avversa ad un alimento si consiglia di non somministrare al bambino i cibi che ha mangiato nell’ultimo periodo per poi reintrodurli uno per volta. Si scoprirà così qual è l’alimento incriminato.
Per sopperire alle sopra citate mancanze del latte materno è consigliabile il consumo, soprattutto per gli allattati al seno, di carne perché questa garantisce un buon apporto dei nutrienti necessari come proteine, ferro e zinco in un volume ridotto.
Lo svezzamento deve quindi avere come obbiettivo l’inserimento della carne che deve essere somministrata attraverso un preparato che contenga, oltre alle proteine,  glucidi e lipidi in una percentuale ideale ovvero più glucidica e lipidica.
Per quello che riguarda la matrice di carne consiglio di utilizzare dei liofilizzati. Essi infatti sono costituti interamente da carne e non c’è nessuna perdita sul volume del prodotto alimentare che viene ricostituito; al contrario gli omogeneizzati oltre alla carne hanno una componente di amido di mais. Oltre a ciò la liofilizzazione risulta anche essere il miglior metodo per conservare gli alimenti.
La carne può essere anche preparata in casa ma con un maggiore rischio di perdere nutrienti durante la cottura oltre ad inglobare molta aria durante il processo di frullatura; questo potrebbe causare dei problemi al bambino in un periodo in cui le sue funzioni intestinali sono sensibili all’aria introdotta dall’esterno.
Un alimento che garantisce un apporto di proteine di ottima qualità è l’uovo. Per quanto riguarda l’uovo la somministrazione del rosso, fonte importante di omega sei, può avvenire dall’ottavo mese e il bianco si può introdurre dall’undicesimo, dodicesimo mese. Consiglio sempre di acquistarlo, almeno per lo svezzamento, già pastorizzato.
Il pesce, ottima fonte di omega tre importanti per lo sviluppo cerebrale, può essere introdotto fin da subito. Sarebbe opportuno evitare pesce di fondo e di grossa pezzatura per scongiurare il rischio di contaminazione con residui tossici di metalli pesanti.
Con grande frequenza dall’ottavo mese e spesso anche prima si somministra latte vaccino. A mio parere non dovrebbe essere assunto fino al dodicesimo mese e, se  possibile,  meglio continuare l’allattamento o utilizzare il latte di crescita che può sopperire a quelle eventuali carenze nutrizionali avvenute con lo svezzamento.
Il latte di crescita ha una minore quantità di proteine rispetto al latte vaccino per cui, a parità di latte bevuto, si riduce la probabilità per il bambino di diventare obeso.
Non sono assolutamente da escludere durante lo svezzamento la frutta e la verdura, importanti per il loro apporto di vitamine antiossidanti, di fibra alimentare e di minerali. La somministrazione di questi alimenti dovrebbe iniziare gradualmente per evitare un eccessivo apporto di fibra alimentare che andrebbe a ridurre l’assorbimento di nutrienti importanti per la crescita del bambino. Quindi per i primi mesi si possono utilizzare delle verdure meno ricche di fibra come patate, carote e zucchine per poi procedere ad introdurne di altre. Durante questi si consiglia di consumarle cotte o frullate, preferendo quindi gli omogeneizzati per poi, superati i dodici mesi, iniziare a sottoporle anche crude.
Dall’ottavo mese il bambino potrà mangiare anche i legumi; anche questi, almeno inizialmente frullati. Per  quanto concerne i condimenti è bene non aggiungere il sale almeno fino al dodicesimo mese e, se è possibile, nemmeno dopo. Il bambino amerà le cose insipide se non è mai stato abituato all’aggiunta di sale e sarà un grande vantaggio per la sua pressione arteriosa.  In alternativa per condire le pappe si può utilizzare un cucchiaino di parmigiano.
Stessa cosa per lo zucchero che non andrebbe mai aggiunto perché il bambino che si abitua al sapore dolce lo ricercherà in tutti gli alimenti.
È vero che i bambini necessitano di una quantità di zuccheri maggiore rispetto a quella degli adulti ma è altrettanto vero che il fabbisogno di glucidi semplici è soddisfatto con l’assunzione di normali alimenti come la frutta. Proprio per questo l’OMS ha suggerito di non dare ai bambini alimenti con zuccheri aggiunti prima dei due anni di età.
Negli anni è importante abituare il bambino al consumo della prima colazione.
Dopo il risveglio notturno il nostro organismo ha utilizzato tutte le energie che gli derivavano dal pasto serale, trovandosi in condizioni di ipoglicemia con conseguente difficoltà di concentrazione sui banchi di scuola.
Il rischio di non consumare la colazione o di consumare una colazione poco abbondante è quello che si inneschi un vero e proprio circolo vizioso: il bambino che non mangia al mattino rischia di  abbuffarsi, in quanto molto affamato, con la merenda di metà mattina e di conseguenza a pranzo non avrà fame. La merenda pomeridiana sarà a sua volta eccessivamente abbondante e la cena scarsa.
Sostanzialmente si sposta il bilancio nutrizionale verso gli spuntini di scarso valore nutrizionale a scapito dei pasti principali.
La colazione è quindi necessaria per fare il pieno di energie e ci si può sbizzarrire alternando quella dolce a quella salata. La scusa del non avere tempo a disposizione non è valida; basta solamente svegliarsi dieci minuti prima.
Anche le merende sono importanti perché consentono di non arrivare troppo affamati ai pasti principali.  tuttavia, molto spesso, i genitori corrono il rischio di somministrare ai bambini delle merende quantitativamente abbondanti ma di scarsa qualità. Generalmente infatti  si ricorre all’utilizzo di merendine e bevande zuccherate.
Basterebbe semplicemente proporre al bambino un frutto, uno yogurt, o un piccolo panino magari integrale con degli affettati (meglio se sgrassati) per poter finalmente abbandonare la pessima abitudine all’utilizzo dei prodotti confezionati, eccessivamente ricchi di grassi e di zuccheri.
Spesso i bambini consumano il pranzo a scuola e il cibo diventa quindi un’occasione di socializzazione. Al tempo stesso l’essere in compagnia dei propri coetanei può aiutare il bambino a consumare quegli alimenti che magari a casa rifiuterebbe.
Il pranzo ideale dovrebbe prevedere un primo piatto di cereali come la pasta e il riso, conditi con sughi semplici, di pomodoro o di verdure. Tendenzialmente i bambini sono amanti del primo piatto in bianco e allora possiamo tranquillamente concederglielo magari condito con dell’olio extra vergine d’oliva e un cucchiaino di parmigiano. Dovrà seguire poi una porzione di verdura fresca di stagione con qualche fettina di pane e se è gradita, frutta fresca di stagione.
A cena invece una pietanza come carne, pesce, uova o formaggio, ogni giorno sempre diversa, con una porzione di verdura fresca di stagione accompagnata da qualche fettina di pane e sempre se gradita frutta fresca di stagione.
È comune tra i bambini rifiutare alimenti come verdure, legumi e frutta nonostante gli sforzi dei genitori che continuano a prepararle nella speranze di vedere un giorno il piatto pulito.
Come ho già scritto prima, tutti gli alimenti che il bambino rifiuta sono quelli che i genitori non gli hanno fatto conoscere o non gli hanno più proposto dopo il secondo, terzo rifiuto.
E’ bene considerare che non è mai tardi per provare e soprattutto non lo deve essere quando si tratta di alimenti come frutta e verdura, importanti per l’apporto di fibra alimentare, che aiuta il senso di sazietà, permettendoci quindi di ridurre l’intake calorico, oltre ad avere il beneficio di migliorare il quadro glicemico e lipidico riducendo a livello intestinale l’assorbimento di colesterolo e glucosio.
Quindi non stancatevi mai di riproporre quegli alimenti tanto odiati senza però mai forzare il bambino perché, se forzandolo dovesse vivere un’esperienza negativa con quell’alimento, allora siamo sicuri che non vorrà assolutamente più vederlo.
Quello che spaventa i bambini sono i sapori e gli odori che non sono famigliari, che non ha mai sentito e provato. Per questo potrebbe essere d’aiuto farlo cucinare assieme ai genitori, così che possa sporcarsi le mani, che possa sentire la consistenza dell’alimento e iniziare a conoscerlo. Forse in questo modo quell’alimento lo spaventerà un po’ meno e poi, al termine della cucinata, si può assaggiare tutti insieme quello che si è preparato.
Altro trucco è quello di proporre l’alimento rifiutato in cucinato in maniera diversa. Le verdure per esempio possono essere gratinate così che il pane grattugiato possa coprirne un po’ il sapore, permettendo al bambino di assaggiarle. Allo stesso modo il pesce può essere condito con qualche cucchiaio di pomodoro così da renderlo più appetibile.
Va ricordato inoltre che il cibo non è solo uno strumento grazie al quale soddisfiamo il nostro bisogno di nutrirci. Alimentazione è socializzazione. È un occasione per stare insieme e, non a caso, i momenti più felici della nostra vita sono accompagnati da un bel banchetto.
Quindi il momento del pasto diventa un momento di condivisione per la famiglia, un modo per i genitori di interessarsi al mondo del proprio figlio, soprattutto se lo vedono poco a causa del lavoro. Chiacchierare mentre si mangia crea un clima di allegria che può incentivare il bambino ad assaggiare un nuovo alimento. Il problema degli orari lavorativi dei genitori, che impegnano molte ore della giornata, sta diventando sempre più importante. Sono molti i papà e le mamme che hanno solo il pasto come occasione per vedere i loro figli. È per questo importante stabilire come regola quella di non usare telefoni e tablet quando si mangia. L’utilizzo di questi dispositivi elettronici durante il pasto  può distogliere l’attenzione dal cibo e, senza nemmeno accorgersene, si è mangiato in quantità eccessiva rispetto a quelle che sono le nostre necessità.
Per farsi perdonare il poco tempo dedicato ai figli, a causa degli impegni della vita quotidiana, i genitori pensano di poter far leva sul cibo, consentendo loro di mangiare qualsiasi cosa; il cibo diventa uno strumento per elargire affetto.
Ma non è così: l’amore dei figli non si compra certo con il cibo e permettere al bambino di mangiare ciò che vuole è dannoso per la sua salute. Spesso dietro a un bambino con problemi di peso si celano genitori che sperano di sentirsi gratificati concedendo un cioccolatino di più al proprio figlio. A questi genitori allora va ricordato quanto sia importante saper dire di no, perché per quel no il bambino, può momentaneamente disperarsi, ma quando sarà un adulto sano potrà sicuramente ringraziarvi.
Verosimilmente vi ringrazierà anche se quel poco tempo che avete a disposizione con lui lo trascorrerete facendo qualche attività insieme, magari all’aperto.
I bambini di oggi sono sempre più sedentari e preferiscono un videogioco ad una partita di calcio. È quindi importantissimo spronare i propri figli a compiere attività fisica che aiuta a controllare il peso corporeo ed ha un impatto positivo sull’assetto glicemico.
Affiancando una sana alimentazione e l’attività fisica il gioco è quasi fatto, ci manca solo un pizzico di impegno e di costanza; uno piccolo sforzo che sicuramente i genitori avranno voglia di compiere per poter garantire la salute dei propri figli.

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La dieta mima digiuno è davvero la dieta della…

 

Ultimamente si è sentito parlare spesso di dieta mima digiuno, soprattutto per i numerosi servizi televisivi che sono stati trasmessi a riguardo.
Per chi non ne fosse a conoscenza spieghiamo meglio di cosa si tratta.
La dieta mima digiuno è il frutto dello studio del Dottor Valter Longo, direttore del dipartimento di gerontologia dell’Università della California. Si tratta di un piano alimentare che prevede, per alcuni giorni all’anno, una drastica riduzione dell’introito calorico e sembrerebbe avere degli effetti benefici sullo stato di salute e sull’aumento dell’aspettativa di vita.
La durata della dieta è di 5 giorni, durante i quali l’introito calorico si riduce progressivamente dal primo al quinto giorno. È previsto che il primo giorno si assumano circa 1000 kcal, costituite per il 34% da carboidrati, per il 56% da grassi e per il 10% da proteine.
Nei 4 giorni successivi l’apporto calorico si riduce a 750 kcal, costituite per il 47% da carboidrati, per il 44% da grassi e per il 9% da proteine. A chi decide di seguire la dieta è fornito un kit di pasti preconfezionati che dovranno essere consumati durante tale periodo.
Com’ è giunto il Dottor Valter Longo ha elaborare questo schema dietetico?
L’idea nasce dallo studio di una popolazione dell’Ecuador affetta dalla sindrome di Laron. I membri di questa popolazione non possiedono i recettori per l’ormone della crescita (GH o somatotropina) e pertanto crescono poco ma hanno un rischio bassissimo di sviluppare cancro e diabete di tipo 2.
L’interesse del Dottor Longo nasce dal fatto che questa popolazione non segue un’alimentazione e uno stile di vita sano; sono infatti dediti al fumo, all’alcol e hanno un’alimentazione ricca di alimenti fritti.
Dopo decenni di monitoraggio solamente un individuo della popolazione è morto di cancro mentre la restante parte non ha sviluppato nessuna malattia cronica. Tutto questo sarebbe dovuto al mancato effetto dell’ormone GH.
Nelle persone sane un metodo per controllare il rilascio dell’ormone somatotropo è quello di ridurre l’introito di proteine animali e applicando la dieta mima digiuno sulle cavie si è verificata una riduzione di tale ormone.
Inizialmente gli studi del Dottor Longo sono consistiti nel mettere a confronto dei topi sani con dei topi privati del recettore per l’ormone della crescita, notando che i topi senza recettore avevano un aumento del 40% dell’aspettativa di vita e una riduzione del 50% di ammalarsi di malattie croniche.
Sono seguiti poi esperimenti sui topi sani, sottoposti alla dieta mima digiuno e ottenendo come risultato un aumentato dell’aspettativa di vita media dell’11%.
Gli effetti positivi della dieta mima digiuno sono stati inoltre riscontrati sulle cellule cancerose e per malattie autoimmuni come la sclerosi multipla. Infatti,  nelle cavie di laboratorio è stato osservato che con questo schema dietetico era possibile ridurre la progressione dei tumori fino addirittura ad arrestarla (questo effetto è stato verificato per cancro alla mammella, neuroblastoma e melanoma) e ad ogni ciclo di dieta mima digiuno si distruggeva una componente di cellule autoimmuni che veniva sostituta da cellule sane. Sul 50% dei topi si è osservata una forte diminuzione dei sintomi da sclerosi multipla e nel 20% addirittura una regressione completa dei sintomi.
Gli esperimenti sui topi hanno mostrato come la dieta mima digiuno offra una protezione contro gli effetti collaterali della chemioterapia; questo sarebbe possibile grazie a un potenziamento, a seguito della dieta, delle cellule normali mentre le cellule tumorali vengono bersagliate dalla chemioterapia.
Questo regime alimentare infatti, spinge le cellule sane ad entrare in  una sorta di fase protettiva mentre le cellule malate non rispondono allo stesso modo; non solo non si proteggono ma vanno addirittura incontro ad apoptosi (“suicidio”).
Tuttavia questi effetti sono stati verificati sulle cavie e non hanno ancora trovato conferme sull’uomo.
In conclusione i risultati della dieta mima digiuno sui topi sono stati i seguenti:

  • Aumento dell’aspettativa di vita del 11%;
  • Riduzione dei tumori del 50% ;
  • Riduzione dei fattori dell’infiammazione;
  • Miglioramento delle funzioni cognitive.

Agli esperimenti sugli animali si sono susseguiti studi sull’uomo.
Nel 2016 è stato eseguito uno studio su 38 partecipanti, 19 dei quali trattati con tre cicli di 5 giorni della dieta mima digiuno e i restanti 19 che hanno seguito la loro dieta abituale.
Al termine dello studio, rispetto al gruppo di controllo, coloro che hanno seguito la dieta mima digiuno hanno avuto una significativa diminuzione della glicemia a digiuno, della proteina C reattiva, dell’IGF-1,  del peso corporeo senza però nessuna modificazione del grasso corporeo, ma con un lieve aumento della percentuale di massa magra. Tuttavia non è stato ottenuto nessun risultato sui maker di rigenerazione cellulare valutati sul numero delle cellule staminali mesenchimali e progenitrici.
Un ulteriore studio è stato effettuato nel 2017 su 100 partecipanti sani sottoposti sempre a tre cicli di 5 giorni della dieta mima digiuno. I risultati dello studio sono stati i seguenti: una riduzione significativa dell’IGF-1, della pressione sanguigna, del peso corporeo e della massa grassa.
Pertanto è chiaro che la dieta mima digiuno possa portare a una riduzione dei fattori di rischio per malattie cardiovascolari, per diabete di tipo 2, per cancro e per invecchiamento.
Tuttavia è importante rilevare che con la dieta mima digiuno possono aumentare le aspettative di vita a seguito di una riduzione dei fattori di rischio per malattie croniche, come dimostrato dagli studi condotti, che tuttavia sono ancora pochi, ma non per rigenerazione cellulare che sull’uomo non è stata ancora dimostrata.
Ovviamente non possiamo pensare di sforzarci di seguire questo regime alimentare per alcuni giorni all’anno per poi tornare ad abitudini alimentari scorrette perché è altrettanto importante, se non di più, la dieta che seguiamo abitualmente, così come ha specificato lo stesso Valter Longo.
Ideale sarebbe adottare quotidianamente la dieta mediterranea consumando cereali integrali, frutta, verdura, legumi, una giusta quantità di proteine animali, il tutto condito con olio extra vergine d’oliva e accompagnato da un bicchiere di vino rosso al giorno.
Va ricordato che la dieta mima digiuno non può essere seguita da tutti: è sconsigliata a bambini e ragazzi in fase di crescita, alle gestanti e alle donne che allattano, ai diabetici insulinodipendenti, ai  soggetti malati privi di consenso del medico e ha coloro che sono affetti da disturbi del comporto alimentare come l’anoressia.
Concludendo vi ricordo che se doveste essere interessati a seguire questo schema alimentare è opportuno rivolgersi ad uno specialista dell’alimentazione che possa seguirvi per evitare spiacevoli conseguenze.

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